Mafia, massoneria e giudici: correva l’anno 1993…

“Quando Cosa nostra accerta che un giudice è massone non lo contatta direttamente, ma solo per il tramite di un altro massone. E ciò perché – così facendo – il giudice, per ossequio al giuramento prestato nella massoneria, non potrà denunciare la pressione ricevuta, pur rimanendo libero di non aderire alla richiesta ricevuta e mantenendo la facoltà di riferire il fatto al suo ‘Gran Maestro’. D’altra parte, la libertà di decisione del massone è sempre relativa, perché egli è pur sempre soggetto ai rigidi vincoli gerarchici e di obbedienza vigenti all’interno della loggia”.

Come avrete capito oggi voglio riflettere con voi del rapporto tra mafie, massoneria e pezzi dello Stato, sottoponendovi alcune frasi, secondo me illuminanti, di un atto giudiziario che sto leggendo.

“Sotto questo profilo, l’associazione massonica, per sua struttura organizzativa, ha rappresentato il momento ‘privilegiato’ di incontro, dialogo e integrazione tra la comunità mafiosa e quel tessuto di ambienti politico-istituzionali che appariva indispensabile penetrare e ‘controllare’.  Se è vero che la massoneria nella sua generalità non può considerarsi referente obbligato di Cosa nostra, è parimenti incontrovertibile così come emerge da un’imponente mole di acquisizioni, che l’organizzazione massonica ha costituito uno dei canali privilegiati, mediante i quali Cosa nostra ha realizzato il processo di infiltrazione, cui si è fatto cenno sopra”.

E ancora: “è proprio attraverso la massoneria che la mafia cerca di instaurare rapporti con interlocutori ‘istituzionali’. In tale contesto, uno dei principali obiettivi perseguiti da Cosa nostra, tramite i propri rapporti con la massoneria, è certamente quello di poter interferire, per questa via, sull’esercizio della giurisdizione”. Ovvero: “uno dei principali vantaggi che Cosa nostra ha cercato di ottenere dai rapporti con la massoneria è quello di realizzare efficacemente, per tale via, il cosiddetto ‘aggiustamento’ dei processi”.

Neanche a dirlo, il principale imputato del procedimento di cui vi ho letto ampi stralci, un professionista massone molto vicino a esponenti di spicco di Cosa nostra, è stato infine assolto. Ma al di là della vicenda in sé, quello che mette i brividi è la data in cui queste parole sono state scritte: 1993. Bene, da allora altre indagini – in ultimo anche quelle di Gratteri – hanno ribadito lo stesso tipo di legame tra mafie, massoneria e pezzi dello Stato, tra cui proprio pezzi di una certa magistratura (fortunatamente minoritaria). Eppure, i governi che negli anni si sono succeduti cosa hanno fatto per contrastare questo fenomeno? Niente. La legge Anselmi, che punisce la partecipazione a logge segrete con finalità illecite, non è mai stata aggiornata e, di fatto, viene contestata in pochi casi perché ha diverse criticità che non sono mai state risolte. 

Il Movimento 5 stelle, con Elio Lannutti e altri ventuno senatori, aveva presentato una proposta di rendere incompatibili “le cariche amministrative e di governo, nel pubblico impiego e parlamentari” con la partecipazione a logge massoniche o ad associazioni fondate su giuramento o vincolo di appartenenza. Un primo passo importante. 

Ma l’obiettivo primario deve essere quello di rendere trasparenti le logge massoniche. 

In Gran Bretagna, per esempio, gli elenchi degli iscritti alle logge sono consultabili su internet ed è possibile per i cittadini andare a visitare i loro luoghi di riunione. Questo senza violare la libertà di associazione, ma anzi, facendo conoscere il pensiero e la filosofia che sta dietro alla massoneria. A chiedere maggior trasparenza sono anche alcuni massoni che hanno tentato, inascoltati, di denunciare le presenze mafiose anche nelle logge più note. Perché molto spesso negli elenchi acquisiti o sequestrati, vengono indicati partecipanti con nomi fasulli.

Parallelamente, occorre inasprire le pene della legge Anselmi contro le logge segrete (senza specificazione delle finalità illecite) in modo tale che sia possibile compiere intercettazioni e, quindi, permettere un’effettiva perseguibilità di questo reato.