Operazione Silk-Faw: quale il ruolo di Ideanomics? Perché un finanziamento da una società delle Cayman?

di Simone Russo

L’operazione Silk Faw, che dovrebbe condurre alla produzione di una hypercar cinese in uno stabilimento industriale su un terreno di Gavassa (Reggio Emilia), ha fino ad adesso generato una risposta positiva da parte del territorio reggiano in pressoché tutte le sue componenti: partiti, associazione industriali, sindacato, chiesa.
Ma una lettura del contesto in cui si colloca l’operazione non può che far emergere alcuni elementi critici che andrebbero tenuti in considerazione.
Accogliere una azienda di Stato della dittatura cinese è in contrasto con l’indirizzo politico espresso dalle istituzioni europee a partire da almeno due anni a questa parte. Citiamo direttamente le parole della presidente della Commissione Ue Ursula Von der Leyen e dell’alto rappresentante Joseph Borell, datate il 25 aprile scorso, tre settimane fa:
“L’Unione europea e la Cina hanno divergenze fondamentali, riguardo i loro sistemi economici e di gestione della globalizzazione, della democrazia e dei diritti umani, e su come rapportarsi con altri Paesi. Queste differenze sono destinate a permanere per l’immediato futuro e non devono essere messe sotto il tappeto”

Le autorità politiche dovrebbero chiedersi: è giusto trasformare un piccolo pezzo di Reggio e dell’Emilia nella vetrina dell’industria del regime Cinese? Perchè si tratta di un regime che, citando il rapporto 2020 di Amnesty international, reprime dissidenti e difensori dei diritti umani, opprime le minoranze etniche, esercita la censura diretta sui media, limita la libertà di espressione ad Hong Kong, arresta ed espelle i giornalisti. Si tratta di situazioni contro cui Reggio e il suo territorio si sono sempre mobilitate. Non in questo caso.

C’è poi un tema di guerra industriale e commerciale tra UE e Cina. E anche in questo caso, l’atteggiamento dell’Ue non è dei più favorevoli.

Si legga ad esempio Repubblica di martedì 4 maggio 2021, pagina 19, titolo: “Scudo UE anti Cina. Stop alle scalate delle Aziende di Stato”. “La Commissione propone ai governi il regolamento per salvare le imprese dai predatori di Pechino”.
Qual è il quadro della situazione?
I predatori di Pechino, come li definisce Repubblica, hanno il know how giusto sull’elettrico. Ma hanno bisogno di ammantarsi di Made in Italy per vendere i propri prodotti.
Per questo ricorrono a Walter De Silva per il design e alla consulenza di Amedeo Felisa, già figura di spicco della Ferrari in epoca Montezemolo.
Bisogna però interrogarsi in profondità sulle conseguenze di questo tipo di operazioni.
Stiamo mettendo a disposizione dell’azienda del regime cinese conoscenze e capacità italiane, finalizzate a produrre supercar elettriche che in futuro faranno concorrenza a produzioni simili e al 100% europee ed italiane. Per il momento ad esempio, si individua nel marchio Rimac un competitor immediato.
Questo è un primo dato su cui interrogarsi. Ce n’è poi un altro.
Silk – Faw farà concorrenza alle aziende europee contando sull’enorme supporto economico dato dallo stato cinese.
Attenzione: sono aiuti di Stato.
Che tipo di concorrenza è questa?
La stessa per cui Alitalia viene da anni additata proprio di pratiche lesive della concorrenza?
Per l’Europa non ci sono dubbi.

“L’idea di fondo di Bruxelles – si legge nell’articolo di Repubblica già citato – è di garantire parità di condizioni. Perchè le aziende che ricevono fiumi di denaro dal Governo di Pechino o dai fondi sovrani, non si muovono certamente all’interno di una concorrenza corretta”.
Il sistema Emilia sembra non aver valutato questi aspetti:
Silk Faw rischia di fare concorrenza sleale. In prospettiva a marchi europei ed italiani della Motor Valley.
Contro questo tipo di aggressiva guerra commerciale cinese, si sta creando una vera alleanza internazionale.

“Nel giro di pochi mesi – si legge sempre nell’articolo di Repubblica – l’universo dei rapporti tra Occidente e Cina è stato rivoluzionato. Del resto, la strada imboccata dall’Unione Europea non può essere disgiunta dalla nuova dottrina di Biden. Nei cento giorni del presidente americano, le relazioni con Pechino hanno subito una vera e propria catarsi. Basti pensare a quel che ha detto anche ieri (lunedì 3 maggio, ndr) il segretario di stato americano , Tony Blinken: “Non possiamo concederci il lusso di non fare fronte a Pechino”.

Non solo: già nel 2019 la Commissione europea pubblicò un documento in cui definiva la Cina come “un competitor economico che rincorre la leadership tecnologica e un rivale sistemico che propone modelli alternativi di Governo”.

Pechino punta a farci guerra commerciale e a indebolire le democrazie europee. Il punto è sia economico che politico.

E’ bene che anche da queste parti suoni la sveglia.

Ma c’è un altro aspetto importante di tutta questa operazione: nessuno, a livello pubblico, ha provato a capire chi ne siano i protagonisti. Oltre ai cinesi, chi ci mette i soldi?

Il quadro è molto più complesso di quel che potrebbe sembrare.

Ad oggi l’operazione per la costruzione della Hongqi S9, la hypercar del regime cinese, viene condotta da una società che si chiama Silk – Faw Automotive Group Ltd. Nelle comunicazioni circolate fino ad oggi, il nome di questa società non è quasi mai emerso in questa forma. Questa società metterebbe insieme capitali e competenze di origine americana (quelle della società Silk Ev) e cinesi (quelle di Faw) L’americano Jonathan Krane si è presentato alla stampa come il presidente di Silk – Faw.
Fin qui le informazioni circolate fino ad oggi. Ma c’è molto di più.
Il nome Silk – Faw Automotive Group Ltd compare in pochissimi documenti pubblicati su internet. Uno di questi è un Exhibit della Sec, la Securities and exchange commission: si tratta della massima autorità statunitense di regolamentazione degli scambi e dei titoli societari.
Da questo documento si apprende che c’è una società delle isole Cayman, la Silk Ev Cayman LP, che avrebbe emesso un’obbligazione convertibile sottoscritta per il valore di 15 milioni di dollari da Ideanomics Inc. Quest’ultima è una società già nota in Italia: ha sottoscritto il 4 marzo l’aumento di capitale di Energica Motor Company, costruttrice di moto elettriche ad alte prestazioni.
Nella nota della Sec c’è scritta una cosa precisissima:

“Impiego dei proventi. La Società (Silk EV Cayman LP, ndr) utilizzerà i proventi della presente Nota esclusivamente per i costi e le spese relativi alla sua costituzione e alla costituzione e alle operazioni commerciali di Silk-FAW Automotive Group Ltd e / o di alcune delle sue affiliate (“Silk-FAW Automotive”)”.

Quindi i soldi in questa operazione sembra proprio che li metterà anche un soggetto di cui in questi giorni non si è mai parlato. Ideanomics inc. E che questi soldi passino attraverso una società registrata in un uno tra i più famigerati paradisi fiscali, le Cayman,in cui è impossibile ricostruire i flussi finanziari e i veri beneficiari e azionisti delle aziende
Su questi punti almeno gli attori pubblici dovrebbero aver chiesto qualche rassicurazione: ma non ce n’è traccia nel dibattito pubblico.

Vediamo di capire qualcosa in più di Ideanomics, azienda quotata al Nasdaq.
“Ideanomics – si legge nel sito della società – è una società globale focalizzata sulla convergenza dei servizi finanziari e delle industrie che subiscono sconvolgimenti tecnologici. La nostra divisione Mobile Energy Global (MEG) è un fornitore di servizi che facilita l’adozione di veicoli elettrici da parte degli operatori di flotte commerciali offrendo soluzioni di approvvigionamento, finanziamento e leasing dei veicoli e gestione dell’energia nell’ambito del nostro modello di business innovativo…”

Il principale azionista di Ideanomics con l’8,9%, stando agli ultimi documenti Nasdaq, si chiama Zheng Wu, detto Bruno Wu, uomo d’affari cinese, un billionaire piuttosto controverso. Ideanomics è stata di recente l’attore principale del fallimento di una nuova borsa valori nel Delaware, finanziata anche con soldi pubblici. Ma non solo. Qualche anno fa Bruno Wu si presentò nella città di Hartford, nel Connecticut, per lanciare un immaginifico business high tech sostenuto da 10 milioni di dollari messi in campo dal pubblico: la costruzione di un hub fintech da 400 milioni totali. Dopo tre anni, di tutto questo non c’è stata traccia. Bruno Wu ha cambiato spesso core business negli ultimi anni: dal cinema, alla blockchain, oggi si è fiondato sul settore dei trasporti sostenibili.

Dietro l’operazione Silk Ev – Faw ci sono quindi 15 milioni della company di cui il multiforme Bruno Wu è l’azionista di maggior rilievo, Ideanomics. Soldi che passano dalle Cayman attraverso la Silk Ev Cayman Lp.
Ma non solo. Un cittadino che si chiama Bruno Wu Zheng si rintraccia anche nei Panama Papers. In particolare questi dati si trovano nei database trafugati dalla sede della Appleby, grande società di consulenza, situata ad Hamilton nelle Bermuda.
E che ci dicono queste carte?
Bruno Wu Zheng è registrato come director della Seven Star Entertainment and Media, che corrisponde al nome di una delle sue imprese.
Stando ai documenti Appleby, questa ha sede, guarda caso, proprio alle Cayman: più precisamente l’ufficio è proprio presso la sede Appleby di Cayman. Tra gli shareholder compare il nome della moglie Lang Yang, insieme a un altro personaggio dal nome cinese non meglio identificabile e a una serie di società di cui è impossibile farsi un’idea compiuta: la Roseworth Investments Limited registrata alle Bahamas; il Cfd Trust del New Jersey; la Ever Corporate Holdings Limited, basata a Tortola nelle Isole Vergini Britanniche; la Reid Services Limited, pure questa delle Cayman; The Gordon and Dona Crawford Trust, California. Un grand Tour di Trust insondabili e Paradisi offshore.

A questo punto si impone una piccola domanda: qualcuno è oggi in grado di tracciare con certezza da dove provengano inizialmente i soldi di Bruno Wu, considerato che il suo principale azionista ha una società registrata alle Cayman con azionisti non del tutto identificabili e considerato che i soldi di Ideanomics passano attraverso un veicolo, Silk Ev Cayman Lp, che non è trasparente?

La domanda si può riproporre nella stessa formula se si indaga un po’ su Silk Ev. Ad oggi risulta a registro imprese italiano una Silk Ev Srl con sede in piazza Luigi di Savoia 22 a Milano, di cui si sanno pochissime cose: è stata costituita nell’aprile 2019, ha 1 dipendente, un capitale sociale dichiarato di 0 (?) migliaia di euro (il dato evidentemente è indisponibile: alla faccia della trasparenza), offre servizi di ingegneria (ma il codice Rae parla di ’Servizi ausiliari finanziari’, tra le altre cose), ha un consiglio di amministrazione formato dal solito Jonathan Krane (presidente e consigliere) e da Justin Jared Krane (consigliere) e si sa che è posseduta al 100% da una società irlandese la Silk Ev Limited.
Su linkedin Silk Ev dichiara tre dipendenti: Alex Heidas (diverse esperienze nella finanza, nessuna esperienza nell’automotive), Jonathan Kolplovitz (diverse esperienze nella finanza, nessuna esperienza nell’automotive) Justin Krane (avvocato con esperienza variegata, tra cui la creazione di orfanotrofi in Sudafrica; ma niente automotive). Proviamo a cercare informazioni su Silk ev llc, che dovrebbe essere la società capofila. Secondo diversi siti, questa è stata registrata in Delaware nel marzo 2018: altro stato a bassa tassazione per imprese che non consente di avere grandi informazioni su bilanci e azionisti. Di sicuro, su Silk Ev c’è una certa incompletezza di dati per effettuare una serena valutazione pubblica su quale sia il suo ruolo presente e futuro rispetto al progetto di costruzione dell’hypercar cinese.
Insomma: sappiamo davvero chi ci mette i soldi, fino all’ultimo centesimo?
Possiamo solo aggiungere una informazione di contesto: dove c’è Silk Ev c’è Jonathan Krane. E la sua Krane Funds Advisors è di proprietà della China International Capital Corporation (CICC). Il cui azionista di riferimento sarebbe ad oggi lo stato cinese attraverso Central Huijin Investment Ltd.
Insomma, tutte le strade portano a Pechino. Con buona pace degli americani