Tasse ai giganti del web, resta molto da fare

Il passo compiuto al G7 per la tassazione delle multinazionali si può considerare l’inizio di un percorso verso una fiscalità più giusta, ma non possiamo pensare che questa nuova tassazione, che stabilisce un’aliquota minima del 15% per l’imposta sui profitti sia un traguardo. Dopo la crescita vorticosa del mercato sul web, Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Canada hanno portato a casa un risultato non scontato e questa è certamente una buona notizia. Tuttavia siamo ancora lontani dal far pagare tasse adeguate ad aziende che hanno guadagni superiori a quelli di molti Stati e che hanno di fatto il monopolio di importanti settori del mercato mondiale. Ancora più lontano è l’obiettivo di mettere un freno alla competizione sleale che i paradisi fiscali esercitano su Paesi che hanno una fiscalità “normale”, come l’Italia. In questi paradisi le web company portano la loro sede, la loro elusione fiscale secondo i trattati europei è perfettamente legale e procura una competizione sleale anche all’interno dei confini europei.

Non voglio certo sminuire il risultato raggiunto al G7 di Londra, dopo un faticoso confronto con le multinazionali, comprese le famose GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft), che ricavano profitti pressoché ovunque, ma hanno la sede nei Paesi con le aliquote più basse.
Per fare un esempio elementare, questo significa che Amazon vende un prodotto in Italia, consuma strade per recapitarlo ma non paga le tasse per riasfaltarle, mentre una piccola impresa locale per vendere la stessa versa molti più tributi (e riasfalta le strade). Secondo un calcolo della Cgia di Mestre, nel 2019 le PMI italiane con meno di 5 milioni di euro di fatturato hanno versato imposte erariali per 21,3 miliardi di euro, mentre le big del web presenti in Italia, che hanno un giro d’affari di 7,8 miliardi di euro e 11 mila addetti, hanno versato al fisco italiano soltanto 154 milioni di euro. Una disparità enorme.

Ora le multinazionali dovranno pagare più tasse sui profitti ottenuti nei Paesi in cui hanno venduto prodotti e servizi, con un’aliquota minima del 15%, che è ancora molto più bassa di quanto pagano imprese e professionisti italiani. L’apertura del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, chiedeva in cambio a Italia, Francia e Regno Unito, ma anche alla Commissione Europea, di abbandonare la Digital Tax. Una questione ancora aperta.

Il 9 luglio si svolgerà a Venezia il G20: estendere a quel bacino di Paesi quanto portato a casa nel G7 sarà il prossimo obiettivo. Ma il nocciolo della questione è ancora una volta la diversità dei sistemi fiscali dei Paesi membri della UE. Come in molte decisioni cruciali, basta un veto all’interno del Consiglio dell’Unione Europea per bloccare ogni più nobile iniziativa. Ostacoli che non devono fermarci nel rivendicare quello che crediamo sia giusto, non solo per il nostro Paese. Le cose cambiano se lo vogliamo e credo che su questo fronte ci voglia molta perseveranza nell’azione politica, sia da parte dei cittadini che di coloro che li rappresentano.