Stairway to Heaven


Se un ladro ci deruba, ci sentiamo violati nel nostro privato, ci sentiamo insicuri e indignati, chiediamo più sicurezza. I grandi evasori ci derubano ogni giorno ma le proteste delle persone sono irrisorie: ci sembra una cosa lontana che non ci tocca. E invece se le tasse sono sempre più pensanti e sempre più concentrate sul ceto medio, se i servizi non sono all’altezza di un paese occidentale, il problema sono anche i grandi evasori con ingenti capitali in mano a pochi, che prendono il volo verso paradisi fiscali vicini e lontani. Tra loro sono tanti i Pep, persone politicamente esposte, ossia politici e chi occupa incarichi pubblici. La stessa strada prendono i capitali da riciclare delle mafie e di organizzazioni criminali. Nessuna trasparenza,
Tutto questo lo sappiamo grazie alle inchieste planetarie del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (ICIJ). Prima i “Panama Papers”, adesso i “Pandora Papers”. Escono articoli, ci si indigna solo a parole e tutto prosegue esattamente come prima, fino alla prossima inchiesta dei giornalisti investigativi.
La scala per il paradiso fiscale – Stairway to heaven, come la canzone dei Led Zeppelin – funziona sempre a gonfie vele, nonostante sull’Espresso si legga del coinvolgimento nei “Panama Papers” di molti personaggi della vita pubblica italiana. Ieri e oggi domina una notevole impunità e ormai anche una certa indifferenza. Del resto la Stairway to heaven non l’hanno fermata né gli accordi internazionali contro il riciclaggio, né lo scudo fiscale o la Voluntary disclosure scaduta nel 2017. Anzi, forse queste pratiche l’hanno addirittura agevolata.
Bisogna leggerli in controluce i dati dei “Panama Papers”, tra figli, ex mogli, alleati, portaborse, teste di legno. Bisogna mettere in colonna tante, innumerevoli cronologie e vedere come e quando montagne di soldi hanno preso la scala per il paradiso senza più tornare.
Sulle pagine dell’Espresso leggiamo per esempio la vicenda di Alessandro Falciai, entrato come azionista con l’1,8% in Monte dei Paschi di Siena nel 2015 e nominato l’anno seguente presidente su indicazione del ministero dell’economia che ne deteneva il 70%. Allora, governo Renzi, il ministro era Pier Carlo Padoan, attuale presidente di Unicredit, che si appresta a comprare Mps, dopo che la banca si è trovata sull’orlo del fallimento – poi salvata dallo Stato – a causa dell’acquisizione di Antonveneta, un’operazione costata nel complesso 17 miliardi di euro, con un acquisto a prezzo doppio di quello di mercato. Nel 2017 Falciai dovette però dimettersi dall’incarico, dopo la scoperta di due sue società offshore panamensi, nate entrambe nel 2013.
Sono tanti altri i nomi di cittadini italiani molto noti che si ritrovano nei “Pandora Papers”: Marina Berlusconi, Giampaolo Angelucci, Gianni De Michelis e la sua vedova, il presidente di Federalberghi ed ex senatore di Forza Italia Bernabò Bocca, Luigi Bisignani. Di persona o tramite i loro avvocati, le persone coinvolte spiegano e si difendono in maniera più o meno convincente.
C’è da sperare che le encomiabili e pazienti inchieste dei giornalisti investigativi consorziati porti alla luce altri papers. Ben vengano altre verità scomode. Ma la perdurante opacità dei paradisi fiscali e la sostanziale impunità di tanti evasori ci fanno vedere una realtà con numerosi furbi che non pagano le tasse, anche legalmente, e innumerevoli persone normali che le devono pagare anche a fatica per far andare avanti questo Paese. Robin Hood non c’è, resta solo la speranza di scoperchiare un altro vaso di Pandora.

Sabrina Pignedoli