La “impossibile” cattura di Provenzano


Continuiamo a seguire l’audizione di Luana Ilardo davanti alla Commissione parlamentare antimafia. Dopo aver raccontato la storia di Gianni Chisena, la Ilardo racconta di quando suo padre Luigi decise di collaborare con la giustizia.
Dopo 15 anni di carcere e a pochi mesi dalla liberazione, Ilardo scelse di diventare un collaboratore. Il capo della Dia Gianni De Gennaro affida Ilardo al colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che ha raccontato gli agghiaccianti retroscena della mancata cattura di Bernardo Provenzano in tribunale a Palermo, durante il processo Dell’Utri. La testimonianza di Riccio trova riscontro nella ricostruzione di Luana Ilardo.
Uscito dal carcere, Luigi Ilardo, già mafioso, diventa un infiltrato in Cosa nostra e, grazie al determinante contributo del colonnello Riccio, rende possibile l’arresto di una cinquantina mafiosi.

Riccio e Ilardo potevano essere i protagonisti della cattura di Bernardo Provenzano, che in quel 1995 ormai era considerato il capo assoluto di Cosa nostra. Una cattura che, secondo la giustificazione degli uomini del Ros, fu fermata dalla presenza di alcune mucche…


Ecco cosa ha dichiarato Luana Ilardo.

“Il 28 ottobre 1995, mio padre telefonò a Riccio facendogli intendere che quell’appuntamento tanto atteso con il capo di “cosa nostra” era stato concordato. L’indomani stesso Riccio notizierà telefonicamente Mori per riferirgli le importanti novità. Nel verificare che questi rimase del tutto indifferente senza nemmeno convocarlo a Roma, Riccio di iniziativa sua, la mattina seguente, lo raggiunse immediatamente presso la sede dei Ros nella capitale. Lunedì 30 ottobre, confermò di persona a Mori e al maggiore Obinu che il giorno successivo Ilardo si sarebbe recato in località Mezzojuso per incontrare il Provenzano”.

“Riccio, preso da grande entusiasmo, propose immediatamente a Mori di procedere a quel servizio di arresto utilizzando una cintura con rilevatore gps”. Una cintura che doveva essere chiesta all’ambasciata americana, come aveva già fatto in passato Riccio.
“Il colonnello Mori rifiutò immediatamente la sua proposta, rispondendo che avrebbero operato solo i Ros ma che, non disponendo del materiale tecnico necessario, si sarebbe soltanto effettuato un pedinamento dell’Ilardo e che sarebbe stato sufficiente che Riccio riferisse anche a voce a lui e al maggiore Obinu quanto acquisito informalmente da mio padre, senza redigere alcuna relazione scritta.

“A Riccio poi vennero spiegati “l’organizzazione del servizio, le posizioni che avrebbero occupato i militari i quali si sarebbero limitati a svolgere solo un rilievo fotografico senza predisporre nessun altro tipo di intervento.
Come predetto da mio Padre alle ore 8 del mattino, gli uomini di Provenzano, Ferro Salvatore e Lorenzo Vaccaro, si presenteranno all’appuntamento per essere raggiunti poi da un terzo uomo, Giovanni Napoli, che lo condurrà fisicamente a bordo della propria auto Ford Escort alla masseria dove si nascondeva il latitante. Conferma di tali avvenimenti saranno i 29 scatti fotografici effettuati dagli operatori del Ros, appostati al bivio di Mezzojuso.
Dopo molte ore di attesa, Riccio non avendo nessuna comunicazione dell’Ilardo, che rimase con il Provenzano per ben 8 ore, fece rientro verso Catania e per strada il colonnello disattendendo quanto disposto da Mori precedentemente, si fermerà presso un autogrill per telefonare al dottor Pignatone e concordando con questi un appuntamento per il giorno seguente per informarlo di quanto stava accadendo.

“La stessa sera il Riccio incontrò mio padre che gli confermò l’avvenuto incontro con Provenzano” e fornendo tutto il materiale utile per individuare la masseria, oltre a numeri di telefono e di targa dei fiancheggiatori del boss.

Successivamente Ilardo farà ben tre sopralluoghi con Riccio per individuare l’ovile, ma i carabinieri del Ros, la punta di diamante delle investigazioni contro i boss, non riuscivano a trovarlo, nemmeno quando Riccio fornì loro precise coordinate.
Nonostante le dettagliate informazioni sul luogo dove si trova Provenzano, nei giorni successivi non successe niente, non venne predisposta alcuna intercettazione, né si procedette al presidio della masseria dove si trovava il cosiddetto “capo dei capi”.

Un arresto, continua Luana Ilardo, “che avverrà solamente 11 anni dopo, dei quali 6 trascorsi dal Provenzano nella stessa masseria indicata da mio padre e altri cinque in una masseria li accanto, dove poi lo arresterà la polizia”.

Ilardo poi verrà ucciso proprio per impedirgli di collaborare. Ovviamente, Provenzano poteva supporre che già in quell’incontro Ilardo fosse un informatore dei carabinieri, per cui secondo la logica avrebbe dovuto cambiare immediatamente nascondiglio. Invece restò lì per anni. Evidentemente era sicuro che nessuno lo sarebbe andato a cercare, come così è stato. Per quale ragione tanta sicurezza? Che rapporto c’era tra lui e i vertici del Ros?