Uno stranissimo omicidio di mafia


Continuiamo a seguire la deposizione di Luana Ilardo davanti alla Commissione parlamentare antimafia. La figlia di Luigi Ilardo, ricostruisce la vicenda del padre, ex mafioso che portò le forze dell’ordine a casa di Bernardo Provenzano senza che questi venisse catturato e che fu ucciso a pochi giorni dall’inizio ufficiale della sua collaborazione con la giustizia. Nonostante una quantità impressionante di depistaggi, omissioni e ritardi, i mandanti del suo omicidio si stagliano sullo sfondo di una storia che non ci rassegniamo a definire tipicamente italiana, in cui i “buoni” sono dalla parte dei “cattivi”. Dopo la morte di Ilardo, nel maggio 1996, il colonnello Riccio decise di scrivere un rapporto dettagliato di quanto accaduto, il Rapporto Grande Oriente. Ecco le parole di Luana Ilardo

“Tale lavoro come già precedentemente accaduto fin da principio venne fortemente contrastato dalle pressioni ricevute dai suoi superiori dei Ros dove ancora una volta gli intimavano di omettere nei contenuti i contatti politici di ilardo e l’incontro avuto con Provenzano. A suo rifiuto e non obbedienza a tale richiesta inizierà il vero e proprio suo calvario personale e giudiziario […]. Nel Luglio 1996, Riccio deposita l’informativa Grande Oriente nelle Procure di Caltanissetta, Palermo, Catania, Messina e Genova”.

Da quel momento Riccio viene perseguitato tirando fuori irregolarità compiute nelle indagini molti anni prima, cercando falsi testimoni e costruendo prove contro di lui. Una precisa strategia messa in atto da una mano esperta abituata ad aggiustare processi in vario modo. Una strategia volta a screditare Riccio e a ridurlo al silenzio sotto il peso di una condanna schiacciante. Riccio – già nella squadra del generale Dalla Chiesa ed ex comandante del Ros e della Dia di Genova – fu accusato di avere impiegato metodi illegali nelle indagini sul traffico di droga negli anni ’80: in primo grado venne incriminato con 50 capi d’accusa, con testimonianze traballanti e quantomeno oscure, condite da lettera anonime a orologeria.

Al termine di un’odissea processuale durata 15 anni, Riccio si vide confermare in Cassazione una condanna definitiva a 4 anni e 10 mesi, ma il castello di accuse costruite ad arte parecchi anni prima era crollato. L’arresto di Riccio avvenne dopo l’incontro con il magistrato della Dda di Catania Nicolò Marino, a cui voleva consegnare le sue tre agende di servizio 93/94 relative a tutto quanto accaduto fino all’omicidio di Ilardo. Materiale delicatissimo che, come si vedrà, verrà richiesto ossessivamente da diversi esponenti delle forze dell’ordine e dai giudici delle udienze al tribunale di Genova, sebbene non ci fosse alcuna connessione tra i fatti contestati e il contenuto delle agende. Seguiamo ancora Luana Ilardo.

“Anomalo e gravissimo è che tale richiesta sia stata addirittura parte integrante di un verbale, redatto innanzi ai giudici di Genova, che disposero l’arresto del Riccio e che avrebbero consentito la concessione degli arresti domiciliari solo dietro consegna delle “agende” succitate. Anomalo è che in effetti Riccio, per ottenere quel beneficio degli arresti domiciliari, dovette tramite il suo legale fornire una delle agende “siciliane” che aveva depositato preventivamente, dopo la morte di mio padre, presso un notaio di sua fiducia”.

Torniamo all’uccisione di Ilardo. Pur sapendo della sua attività da infiltrato e delle relazioni del colonnello Riccio, non fu svolta alcuna indagine sul movente del suo omicidio. Neanche quando, nel 2001, prosegue la Ilardo, Mario Ravidà della Dia, acquisì una precisa notizia confidenziale dal mafioso Eugenio Sturiale, (all’epoca ancora non ufficialmente collaboratore di giustizia) nel quale indicava di aver assistito all’omicidio e aver individuato gli autori in un gruppo di fuoco facente capo a Maurizio Zuccaro. Solo dopo 9 mesi dopo, la relazione di Ravidà – prosegue Luana Ilardo – “verrà protocollata alla Dia e con lettera di accompagnamento inviata alla Procura di Catania, la quale neanche questa rilasciò doverosa delega per iniziare un attività investigativa, sebbene la relazione fosse corredata da nomi e cognomi, dei soggetti individuati dallo Sturiale, nonché i mezzi usati per commettere l’omicidio di mio padre”. La relazione di Ravidà venne ripresa dopo 9 anni, in seguito al pentimento di Sturiale, che portò al rinvio a giudizio autori e mandanti dell’omicidio di Ilardo, che con sentenza di cassazione del 1° Ottobre 2020 verranno condannati all’ergastolo; Giuseppe Madonia (cugino di Ilardo) Maurizio Zuccaro, Benedetto Cocimano, Santapaola Enzo e La Causa Santo, oggi collaboratore di giustizia”.


Un omicidio compiuto da mafiosi, ma sulla base di una “fuga di notizie” proveniente dalla procura di Caltanissetta, secondo Luana Ilardo, e con possibili responsabilità da parte di soggetti non appartenenti a “cosa nostra”. Secondo il collaboratore Antonino Giuffré, Provenzano aveva saputo della collborazione di Ilardo da fonti interne alla procura di Caltanissetta e disse che Giuseppe Madonia, aveva “agganci” all’interno della stessa procura. Giovanni Brusca raccontò durante il processo che l’omicidio di Ilardo doveva avere il benestare di Provenzano. Ma l’omicidio di Ilardo si verificò prima che arrivasse una risposta.
Chi è dunque Maurizio Zuccaro e come mai si azzardò a scavalcare la gerarchia di Cosa nostra, compreso Bernardo Provenzano, il capo indiscusso, e uccise Ilardo? Luana Ilardo elenca una serie di circostanze che rendono l’omicidio del padre molto anomalo all’interno delle logiche mafiose.

“Maurizio Zuccaro risulterà alle forze dell’ordine personaggio molto ambiguo in quanto con insistenza nell’ambiente di Cosa nostra circolava la voce che fosse confidente, vicino ai carabinieri […]. Altra circostanza oggettiva che rafforza questa tesi è il fatto che lo Zuccaro essendo condannato in via definitiva per altri reati alla pena dell’ergastolo, spesso si trovava a casa in regime di arresti domiciliari, (anche in data 10 maggio 1996 giorno dell’omicidio di mio padre) adducendo motivi di salute che poi verranno accertati falsi in quanto lo stesso si procurava forse dei salassi. Sorge spontanea la domanda di sapere chi in galera valutava il suo stato di salute e quale magistrato concedeva quei permessi nonostante la sua pesante condanna, anziché sottoporre lo Zuccaro a visite mediche e a predisporre le dovute cure in regime ospedaliero detentivo”.

Zuccaro è un mafioso di piccolo calibro che agì su ordine non dei vertici mafiosi, ma da qualcun altro. Ne è sicura Luana Ilardo che cita la testimonianza di un altro pentito, Pietro Riggio:

“Il Riggio che ancora oggi, nonostante che le sue dichiarazioni siano al vaglio degli inquirenti, ma che non sono mai state contrariamente reputate inattendibili, ci dirà con molta crudezza che l’ordine di fare ammazzare mio padre provenne dal colonnello Mori incaricando di occuparsene”.

Tra omissioni e depistaggi, le indagini sull’uccisione di Ilardo si intrecciano a numerose altre vicende non chiarite, come la mancata cattura di Provenzano, la messa in fuga a Terme Vigliatore (ME) e il successivo arresto di Nitto Santapaola, la mancata perquisizione del nascondiglio di Riina. Tutte storie ancora da ricostruire, che si lasciano dietro una lunga serie di interrogativi.