Agricoltura biologica, una risorsa per le zone montane

Il Sikkim è un piccolo stato sull’Himalaya e oggi fa parte dell’India. Confina con Nepal, Tibet e Bhutan, e la sua storia si intreccia a quella delle altre culture fiorite in una delle zone climaticamente più proibitive del pianeta. La sua storia è millenaria e per oltre 300 anni è stato un regno autonomo. Nel 1975, dopo un referendum, è stato annesso all’India ed è un territorio molto particolare, in cui da sempre vige un sacro rispetto per la Natura, con riserve che sono oggi patrimonio dell’Unesco e antichi templi buddhisti. La sua altitudine arriva a 8.598 metri. Il Sikkim ha una caratteristica unica: è l’unico, il primo stato al mondo ad aver scelto di avere coltivazioni biologiche al 100%. Un processo portato avanti a partire dal 2003 e che da qualche anno si è compiuto, con tanto di riconoscimenti da parte delle Nazioni Unite. Nonostante le altitudini da capogiro, il Sikkim è uno dei maggiori produttori mondiali di spezie come il cardamomo.

Vi ho portato per un momento così lontano dalle aule del Parlamento Europeo perché domani nella seduta plenaria a Strasburgo verrà presentata una relazione sul piano d’azione europeo sull’agricoltura biologica. È un settore in continua crescita che, stando agli ultimi dati disponibili, occupa quasi il 9% delle aree agricole europee. Una percentuale che può essere migliorata e a cui la politica europea deve dare il giusto sostegno. Pensate che un terzo del bilancio dell’Unione Europea è dedicato all’agricoltura e anche una parte importante del Recovery Fund.

Ho molto a cuore le zone montane, perché sono nata e cresciuta in una di queste, sull’Appennino reggiano. Conosco la difficoltà e la bellezza della vita in montagna. Il Sikkim è la dimostrazione concreta che si può fare agricoltura di qualità in alta quota e si possono rivitalizzare territori altrimenti destinati all’abbandono. Penso che l’Unione Europea debba impegnarsi di più per promuovere l’agricoltura biologica nelle zone montane. In Emilia, Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, l’agricoltura di montagna deve essere sostenuta adeguatamente, perché in questo modo si può compiere un salto di qualità. Gli agricoltori in montagna sono un presidio per il territorio, un’opportunità di rilancio delle zone rurali anche attraverso un turismo non invasivo. Aziende agricole e agriturismi permettono di rilanciare questi territori altrimenti incolti e non presidiati. Per i prodotti di queste terre dobbiamo pagare un prezzo adeguato alla loro qualità, senza disperdere le risorse che ci arrivano dal Recovery Fund. È un’occasione unica, da non perdere, che va accompagnata da un’adeguata viabilità stradale, e anche digitale, perché anche il web può favorire la presenza umana e la nascita di aziende competitive sul mercato. Servizi pubblici, come ospedali, scuole, uffici postali devono essere sostenuti e raggiungibili senza troppe difficoltà. Altrimenti questi territori si spopoleranno, anche a causa del calo demografico e dell’emigrazione. C’è molto lavoro da fare, ma l’esempio del piccolo stato indiano mi accompagna e dimostra che le zone montane hanno risorse e possibilità da offrire anche nel Nord-Est della nostra penisola, in quote molto meno alte di quelle dell’Himalaya.