Mafia e appalti: Falcone preannuncia l’indagine (parte 2)

di Sabrina Pignedoli

C’è una “centrale unica” ovvero “un vertice che dirige e coordina le assegnazioni e le esecuzioni, cioè tutta la materia” relativa agli appalti. Ne è convinto Giovanni Falcone nella sua audizione del 22 giugno 1990 alla Commissione parlamentare antimafia. Nelle carte che sono appena state rese pubbliche, il magistrato non parla solo dell’omicidio Mattarella e degli altri delitti eccellenti. Ma racconta anche dei capitali di Vito Ciancimino investiti in Canada, dei suoi prestanome e della faticosa ricostruzioni delle transazioni finanziarie per risalire agli effettivi proprietari.

Fa il nome anche di uno dei cavalieri del lavoro di Catania, Carmelo Costanzo: “È stato il primo grosso imprenditore siciliano che ha ampiamente ammesso la totalità del condizionamento mafioso nei suoi confronti: l’importanza di questa sua dichiarazione ancora non è stata colta, a prescindere dalle valutazioni del Costanzo sotto il profilo penale. E queste voci cominciano a venire anche dall’esterno dell’imprenditoria”.

Al magistrato viene chiesto se i condizionamenti siano solo per le aziende siciliane e la risposta è molto chiara: “Qualsiasi impresa, italiana o anche straniera, che operi in queste zone è sicuramente soggetta agli stessi problemi: questo è sicuro”. Sottolineando che erano emersi elementi di responsabilità a carico di amministratori pubblici e imprenditori, Falcone spiega nella legislazione applicata per l’assegnazione degli appalti “si annidano le possibilità di un pesante condizionamento soprattutto in sede locale. Se così è, chiaramente tutto questo riguarda qualsiasi imprenditore che operi in determinate zona, sia esso persona fisica, che cooperativa o ente a partecipazione statale”.

Anche in questo caso, però, non si tratta di un problema solo connesso alla mafia. “C’è un vertice mafioso isolano che controlla la regolazione dei pubblici appalti; tutto il resto è estremamente articolato e complesso e in corso di accertamento, quindi verrà fuori un po’ alla volta”, spiega Falcone che, incalzato dalle domande, aggiunge: “Alcune opere vengono aggiudicate altrove. Il problema sarà ampiamente chiarito, ma non posso farlo completamente in questo momento perché non credo sia opportuno. Ma il punto è sempre lo stesso: il presupposto dell’intervento dell’organizzazione mafiosa sta nel controllo del territorio”.

Si tratta dell’indagine Mafia e appalti, la cui informativa arriverà dal Ros nel 1991 quando Falcone sta lasciando Palermo per andare al ministero? Il contesto farebbe propendere per una risposta affermativa, dal momento che Falcone fornisce anche un altro indizio: l’indagine la stavano portando avanti i carabinieri.
Leggendo i verbali della Commissione antimafia del 1990, un altro dato fa riflettere e fa male: il clima di ostilità riservato a Falcone da alcuni dei componenti che gli fanno le domande. E anche il clima di veleni che serpeggiavano allora nella procura di Palermo. Una conferma, più che una novità.