Querele temerarie per zittire la stampa


Al Parlamento europeo, questa settimana si è tornati a discutere di liberà di stampa nel mondo. Infatti, il 2 novembre ricorre la Giornata mondiale per mettere fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, indetta dall’Onu nel 2013 per ricordare l’omicidio di due inviati francesi in Mali. Chi pratica con passione la professione di giornalista, chi è spinto da un senso di giustizia e va a caccia di notizie, spesso si trova solo, minacciato, aggredito e, in alcuni casi, anche ucciso. Quest’anno sono stati assassinati 22 giornalisti nel mondo, dal Messico alla Somalia. Perché le notizie, la libera informazione sono fumo negli occhi per un certo tipo di potere. Purtroppo questi delitti restano nella maggior parte dei casi impuniti, soprattutto per quanto riguarda i mandanti. Tuttavia la violenza è solo uno dei metodi per mettere a tacere chi fa le inchieste. Soprattutto in democrazie più avanzate, un omicidio attira troppo l’attenzione, anche sulla notizia che il giornalista stava scrivendo. Ci sono metodi meno eclatanti e di fatto legali per mettere a tacere quotidianamente i giornalisti, nell’indifferenza generale. Si chiamano “querele temerarie” o “strategiche”, ovvero cause per diffamazione, senza fondamento, con una richiesta esorbitante di risarcimento dei danni. Anche se poi il giornalista verrà assolto, deve comunque difendersi, pagando un avvocato che dovrà fronteggiare studi legali di multinazionali o di politici importanti. Rischia di essere una battaglia di Davide contro Golia dagli esiti incerti.
La situazione diventa tanto più grave se si considera che sempre più spesso i giornalisti lavorano come free lance e hanno pochissime o nessuna tutela legale. Il risultato più immediato è che il giornalista smette di scrivere inchieste scomode, che in alcuni casi vengono pagate anche meno di 10 euro lordi. Sì, avete capito bene: anche meno di 10 euro lordi al pezzo. In molti giornali, in molte agenzie è la tariffa standard, sia che il giornalista scriva l’articolo sulla partita di calcio scapoli-ammogliati, sia che dopo ricerche pazienti pubblichi un articolo di cronaca giudiziaria o di inchiesta, senza un minimo di valutazione dell’impegno richiesto e del rischio connesso (anche di querele). Per non parlare dei tanti giornalisti cui è stata proposta una collaborazione gratuita, il cui compenso è solo quello di vedere la propria firma sul giornale!

Ci riempiamo la bocca parlando di stato di diritto, di democrazia, scordando spesso, però, che la libertà di stampa è il termometro di una democrazia ed è uno dei pilastri dello stato di diritto. La libertà di stampa reale, non quella formale, non quella a parole, che non tutela l’effettiva possibilità dei giornalisti di fare il loro mestiere.
Per questo, in questa circostanza, ho ricordato ai miei colleghi deputati europei le conclusioni della commissione speciale su Criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio in cui si esortavano gli stati membri a depenalizzare i reati di diffamazione e calunnia per chi segnala episodi di corruzione, criminalità organizzata e riciclaggio di denaro sporco. Credo sia necessario che il Parlamento europeo sostenga questa battaglia per la depenalizzazione e la estenda anche al giornalismo per favorire quelle inchieste che tanto servono alla nostra democrazia.
La Commissione europea ha inserito nei suoi obiettivi quello di proteggere i giornalisti e la società civile dalle querele strategiche che ostacolano la partecipazione pubblica; speriamo che ora l’impegno si trasformi in azione concreta.
Inoltre, venendo all’Italia, è importante mettere mano al problema delle richieste esorbitanti e pretestuose di danni in sede civile, prevedendo il versamento di anticipi da parte del richiedente oppure il pagamento al giornalista di una quota di quanto richiesto, nel caso il danno risulti infondato.