La verità nel pozzo: cento anni di Sciascia

“La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità”. La verità: che strana parola. Questa definizione di Leonardo Sciascia mi piace perché fornisce un’immagine plastica della difficoltà del suo raggiungimento. Perché ad affacciarsi e a guardarla dal bordo, la verità sembra rassicurante, ma non è vera: è solo un riflesso, non il sole, non la luna. Per raggiungere la verità bisogna buttarsi dentro. Che significa viverla, rischiare di farsi male e soprattutto: una volta entrati nel pozzo, come si esce, come si racconta?
Sciascia usava romanzi brevi, racconti, che erano esempi di verità tracciati usando la sua fantasia, la sua arte di scrittore. Ha le caratteristiche che amo in un autore: mettere alla prova il suo lettore. Perché va al di là della storia raccontata; i suoi romanzi, usando il simbolismo, i riferimenti alla storia e all’attualità, parlano di verità. Questo meccanismo si realizza magistralmente nel suo romanzo più famoso, Il giorno della civetta.
L’ho letto quando ancora non mi occupavo di mafia, da ragazzina. Mi colpì quella sete di verità e giustizia che, arrivata all’ultima pagina, mi lasciò un senso devastante di impossibilità e speranza. Poi l’ho riletto tante e tante volte dopo, quando ho capito meglio cosa significa cercare verità e giustizia.
Per non parlare del lucido spaccato che fornisce della mafia.
“La mafia era, ed è, altra cosa: un ‘sistema’ che in Sicilia contiene e muove gli interessi economici e di potere di una classe che approssimativamente possiamo dire borghese; e non sorge e si sviluppa nel ‘vuoto’ dello Stato (cioè quando lo Stato, con le sue leggi e le sue funzioni, è debole o manca) ma ‘dentro’ lo Stato”. Una frase che fa il paio con quell’altra tratta da Il contesto: “In pratica, si trattava di difendere lo Stato contro coloro che lo rappresentavano, che lo detenevano. Lo Stato detenuto. E bisognava liberarlo. Ma era in detenzione anche lui: non poteva che tentare di aprire una crepa nel muro”. La crepa nel muro, quella da cui passa la verità. Ed è bellissimo il gioco di parole che riesce a concatenare i concetti e portare il lettore a seguirlo su un sentiero di incantato disincanto.
Proprio questa complicità con il lettore è la ragione che mi fa amare tanto Sciascia. La sua prosa, fatta più di mancanza, di sottrazione, impone al lettore di fornire le spiegazioni che lo scrittore non dà: ci costringe a pensare, a calare le sue parole nella nostra realtà, a trovare noi la verità. Lui fornisce le tracce, con l’uso del simbolismo, con rimandi continui alla storia e all’attualità. Per questo il suo libro che preferisco è Il Cavaliere e la morte, libro da leggere rigorosamente più di una volta. Il titolo è tratto da una stampa di Dürer: “Ma il Diavolo era talmente stanco da lasciar tutto agli uomini, che sapevano fare meglio di lui. E il Cavaliere, dentro la sua corazza, forse altro Dürer non aveva messo che la vera morte, il vero diavolo: ed era la vita che si credeva in sé sicura: per quell’armatura, per quelle armi”.
Non mi dilungo oltre, perché ogni libro che ho letto, da Todo Modo a Una Storia Semplice, solo per citare due tra i più famosi, meriterebbe un editoriale a sé e non chiuderei più.
Ho pensato, invece, di tornare al Giorno della civetta per concludere con una citazione che, prima di tutte, mi ha fatto capire quanto le tracce fornite da Sciascia potessero adattarsi alla realtà che stavo vivendo. In quel periodo scrivevo di Reggio Emilia, delle infiltrazioni della mafie in quella realtà. E questa frase mi arrivò come “una crepa nel muro”… anche per i riferimenti al catasto.
“È inutile tentare di incastrare nel penale un uomo come costui: non ci saranno mai prove sufficienti, il silenzio degli onesti e dei disonesti lo proteggerà sempre. Bisognerebbe sorprendere la gente nel covo dell’inadempienza fiscale, come in America. Bisognerebbe, di colpo, piombare sulle banche; mettere mani esperte nelle contabilità, generalmente a doppio fondo, delle grandi e delle piccole aziende; revisionare i catasti. E tutte quelle volpi, vecchie e nuove, che stanno a sprecare il loro fiuto dietro le idee politiche o le tendenze o gli incontri dei membri più inquietanti di quella grande famiglia che è il regime, e dietro i vicini di casa della famiglia, e dietro i nemici della famiglia, sarebbe meglio si mettessero ad annusare intorno alle ville, le automobili fuori serie, le mogli, le amanti di certe funzionari: e confrontare quei segni di ricchezza agli stipendi, e tirarne il giusto senso”.