Lavoro nella logistica: un modello da ripensare

L’uccisione del sindacalista Adil Belakhdim del Si Cobas, durante una pacifica manifestazione davanti al deposito Lidl di Biandrate (Novara), ha destato dolore e indignazione, ma da troppo tempo nel settore della logistica si consumano soprusi che balzano all’attenzione generale solo quando diventano insostenibili o per un gravissimo fatto di cronaca, come in questo caso.

Il conflitto da tempo è evidente. La logistica occupa complessivamente circa un milione di persone in Italia, con molte zone grige e altre decisamente nere. Ci sono lavoratori pagati 5 euro l’ora, che riescono ad accumulare uno stipendio ai limiti della sussistenza con turni di lavoro massacranti, altri che dopo anni di servizio ottengono condizioni leggermente migliori. Ma intanto molte grandi aziende accumulano utili stratosferici, subappaltano i lavori a cooperative di comodo. Oppure assorbendo una parte dei lavoratori per lasciarne senza lavoro molti altri. Una guerra tra poveri. Con la pandemia il turbocapitalismo dell’e-commerce ha messo le ali, portando però scarsi vantaggi ai diritti di chi lavora nel settore.

Nel triangolo Lodi-Pavia-Piacenza lo scontro è più acuto, ma a essere interessate sono anche altre aree lombarde, Piemonte, Lazio e altre zone d’Italia ad elevato traffico di merci. Di lavoro ce n’è tanto, non è certo quello il problema, e le merci viaggiano veloci con gli acquisti online, in cui la consegna si paga pochi euro o è addirittura gratis. I prezzi si abbassano per chi compra e le grandi aziende si allargano e giocano al ribasso, si spartiscono un mercato molto promettente, ricorrendo a padroncini e cooperative, con stipendi bassi, licenziamenti. Sognando le consegne con i droni, intanto il lavoratore con il suo furgone un po’ datato può solo correre e stare in silenzio, cercando di schivare le multe quando parcheggia in seconda fila e corre a suonare a un campanello.

Ogni protesta è rischiosa, sotto tutti i punti di vista. Se qualcuno arriva a incrociare le braccia e a protestare significa che è al limite e non ha quasi più nulla da perdere. E negli ultimi mesi si sono moltiplicati gli scontri fisici davanti ai cancelli. In alcuni casi le aziende hanno fatto ricorso a milizie private armate di spranghe e taser, che sembrano appartenere alle epoche più buie della nostra storia o ai film di Robocop.

Licenziamenti, assorbimenti parziali, esternalizzazioni, ricatti solo per concedere gli straordinari: mentre il mercato cresce esponenzialmente, le aziende “ottimizzano” e scaricano i lavoratori per poterli pagare di meno. Dove alcuni sindacati hanno fatto sentire la loro voce, le cose sono migliorate. Le aziende hanno gioco facile laddove c’è frammentazione e gli stessi lavoratori sono costretti a fare a gara a chi offre di meno.

In molti casi, gli inquirenti hanno scoperto abusi eclatanti. Qualche giorno fa, il gip di Milano ha convalidato il sequestro di 20 milioni di euro nei confronti di Dhl, che girava le consegne a cooperative di comodo che sottopagavano i lavoratori. Prima ci sono stati i commissariamenti di Ceva Logistics e Uber Italy, andando indietro si scoprono altri casi, con modalità molto simili.

È ora che il governo si muova con decisione per garantire a questi lavoratori non solo salari, ma i diritti che meritano in un Paese democratico. C’è bisogno di nuove normative specifiche che prevengano gli abusi da parte delle multinazionali del settore. Ma su questo tema serve anche un coinvolgimento attivo dei sindacati maggiori, che forse su certi temi sono rimasti troppo a lungo ai margini del dibattito, in un mercato del lavoro sempre più polverizzato.