Il caso Gessen e Gaza come ghetto

Fa riflettere il caso di Mascha Gessen, intellettuale statunitense di origine ebraica e attivista LGBT, a cui è stato assegnato quest’anno il premio Hannah Arendt. Gessen è un convinto anti-putiniano e studioso dei totalitarismi. Per alcune dichiarazioni contenute su Gaza in articoli apparsi sul New Yorker, a Gessen il premio è stato assegnato a porte chiuse per decisione degli organizzatori del premio, la fondazione Heinrich Böll, legata al partito dei Verdi e la città di Brema.

Che cosa ha detto Masha Gessen per non meritare una premiazione a pieno titolo?
Ha criticato la risoluzione del Bundestag tedesco che ha qualificato il movimento di boicottaggio d’Israele (BDS) come movimento antisemita e il fatto di aver definito Gaza come un ghetto.

“Negli ultimi 17 anni, Gaza è stata un compound iper-densamente popolato, impoverito, chiuso da mura, che solo una piccola frazione della popolazione ha potuto lasciare, e sempre per brevi periodi di tempo. In altre parole, un ghetto. Ma non come il ghetto ebraico di Venezia, o il ghetto di una città americana: bensì un ghetto ebraico in un qualche Paese dell’Europa orientale, occupato dalla Germania nazista. Nei due mesi dacché Hamas ha attaccato Israele, tutti i cittadini di Gaza hanno sofferto per l’ininterrotto fuoco delle forze israeliane. In migliaia sono morti. In media, un bambino viene ucciso ogni dieci minuti. Le bombe israeliane hanno colpito ospedali, reparti di maternità, ambulanze. Otto cittadini di Gaza su dieci si ritrovano senza casa, costretti a muoversi da un posto all’altro, senza mai trovare sicurezza”.

Evidentemente, l’accostamento al nazismo, che in Germania è un nervo ancora scoperto, ha creato imbarazzo e ha fatto scattare una reazione. Forse Gessen poteva risparmiarselo. Eppure, mettendo da parte il nazismo e qualsiasi altra possibile analogia, i bombardamenti sui bambini e sugli ospedali sono una realtà. E la situazione di Gaza negli ultimi 17 anni è stata quella di un carcere di massima sicurezza dove è proliferata non solo la rassegnazione, ma anche l’odio e la disperazione.